La piccola con il burqa rosso è una delle fiabe rivisitate da Tahar Ben Jelloun nella raccolta Mes contes de Perrault. Accostando le fiabe classiche che hanno segnato l’immaginario occidentale per secoli a elementi orientalizzanti, lo scrittore marocchino offre un’alternativa alle narrazioni arbitrarie e stereotipate che circondano i paesi di lingua araba.
La piccola con il burqa rosso
C’era una volta una contadinella di una bellezza accecante che si chiamava Sakina. Era talmente bella che, quando si lavava ai piedi della fonte, gli uccelli e gli animali del bosco accorrevano per ammirarla e farle le feste. Era così bella che la frutta e i passerotti cadevano dagli alberi. Quando faceva ritorno al villaggio, alcuni animali la accompagnavano formando un picchetto d’onore. Ma la piccola aveva solo sua madre che, senza alcun dubbio, l’amava più di ogni altra cosa. Infatti era sempre in preda alla paura quando la figlia usciva di casa.
Era il periodo in cui certi barbuti vestiti con tuniche nere, armati di sciabole e di fucili, dettavano legge, perseguitavano gli uomini che non frequentavano assiduamente la moschea e lapidavano le donne che osavano sfidarli indossando abiti leggeri. Proibivano alle ragazze di andare a scuola e sorvegliavano da vicino l’educazione dei ragazzi, che doveva essere rigorosamente religiosa. Formavano una setta: li chiamavano gli Ipocriti, perché dicevano di agire in nome della religione quando in realtà la loro occupazione principale era il traffico di droga. Alcuni si autoproclamavano emiri, altri imam, tutti pretendevano di dettare legge, saccheggiavano il paese e facevano scappare i turisti. La setta diffondeva la discordia in un paese dove, nonostante tutto, musulmani, cristiani ed ebrei convivevano in perfetta armonia.
Il paese soffriva in silenzio sotto la dittatura. Chi faceva sentire la propria voce veniva arrestato e torturato. Ovunque regnava la paura. Ma, sebbene avesse sentito parlare dei misfatti commessi da questi bruti che pattugliavano la città, la contadinella non era affatto spaventata. Forse era incosciente del pericolo che correva? Forse si credeva abbastanza forte da affrontare qualunque minaccia? Certo che aveva sentito parlare delle violenze di gruppo sulle giovani donne, delle lapidazioni di mogli accusate di adulterio senza nessuna prova, ma lei era convinta di essere protetta dalla profezia di suo padre che, sul letto di morte, le aveva predetto un futuro eccezionale.
Un giorno, sua madre venne a sapere che la nonna della piccola, che abitava fuori città, al limitare del bosco, era malata. Aveva preso freddo, si diceva. Era venuto un messaggero a informare la famiglia. Ma la madre aveva fatto una brutta caduta per le scale ed era dunque impossibilitata a muoversi. Incaricò allora Sakina di portare alla nonna delle crêpes, un vasetto di pappa reale e una medicina contro il raffreddore. Le disse:
― Figlia adorata, porta tutto alla nonna, poi torna subito a casa. Non parlare con nessuno per la strada, sii prudente e, soprattutto, non tardare.
Sakina le fece notare che non aveva un burqa per uscire e che i terribili barbuti avrebbero potuto usarlo come pretesto per prendersela con lei.
La madre prese allora un telo rosso e ci avvolse dentro la figlia. Imbacuccata così dalla testa ai piedi in quel burqa di fortuna, la bambina se ne andò dalla nonna.
Sakina ci vedeva soltanto da un occhio, l’altro era nascosto da un lembo del burqa. Era così che le donne dovevano coprirsi per non attirare le ire degli orribili barbuti. Perciò camminava con lo sguardo a terra e pregava Dio di aiutarla a sfuggire ai controlli, poiché i barbuti occupavano la città da quando avevano dato scacco matto alle forze di polizia e alla gendarmeria. Setacciavano ormai il paese, erigevano posti di blocco qua e là, imponevano le loro leggi e seminavano il terrore. Con i soldi della droga si erano procurati armi e assicurati mezzi di comunicazione efficienti. Gli uomini del vecchio regime si erano esiliati, lasciando il paese e la popolazione in balia di quelle bande di criminali.
Sakina attraversò la città senza dare nell’occhio. Era così minuta che nessuno fece caso a quella cosetta rossa.
Ma, quando giunse al limitare del bosco che conduceva alla casa della nonna, un giovane barbuto, irsuto e intraprendente, le sbarrò la strada:
― Alt! Dove credi di andare? E come mai questo travestimento? Non lo sai che il rosso è il colore della rivolta? Non sarai mica una ribelle contraria alla nostra bella rivoluzione?
Sakina finse di non capire e iniziò a piangere. Stranamente, lo spilungone rimase toccato dalle sue lacrime:
― Ma piccola, non piangere, dimmi dove vai e io ti aiuterò. Perché vedi, qui nella foresta ci sono dei lupi cattivi, anzi cattivissimi, che adorano la carne fresca. Dai, su, dimmi dove vai.
― Vado a trovare mia nonna malata, le porto un po’ di crêpes, del miele e le medicine.
― Dove abita?
― In una casa verde appena fuori dal bosco. In realtà era blu, ma le erbe l’hanno invasa, e da allora la chiamiamo la casa verde.
― Sai, alla scuola coranica abbiamo imparato ad andare sempre in aiuto alle persone anziane, soprattutto quando sono malate. Per questo devo fare visita a tua nonna, è un dovere dettato dalla fede. Se vuoi ti precedo e la avverto del tuo arrivo, sono sicuro che le farà piacere.
Sakina gli chiese:
― Ma perché hai un’arma?
― Intendi il pugnale? È magnifico, un pezzo da museo, l’ho ereditato da mio nonno che ha combattuto contro gli inglesi quando occupavano il paese. Ma non è un’arma, è già tanto se riesci a tagliarci il burro.
― Oh! Hai anche un fucile però! È per aprire le angurie?
― No, il fucile è scarico. È solo per fare paura.
― E di chi hai paura?
― Non ho paura di nessuno, sono io che devo fare paura ai delinquenti, a chi non rispetta le leggi della nostra amata religione, a chi corre dietro alle ragazzine che diffondono ovunque vizi e dissolutezza. Quanto a te, non hai niente da temere, tu sei innocente, ti prendi cura di tua nonna. È un bel modo di comportarsi il tuo, conforme alle raccomandazioni di Dio Onnipotente.
Sakina si sforzò di sembrare rassicurata. Prima di lasciarla lo spilungone barbuto le diede un buffetto sulla guancia facendole cadere il burqa e svelando le sue graziose forme. Aveva due piccoli seni casti di cui si scorgeva un accenno di capezzoli. Il bruto la guardò con occhi rossi e strabuzzati, poi fece per avvicinarsi a lei. Sakina indietreggiò, si rimise a posto il burqa e gli disse di allontanarsi. Aveva un tono deciso, non proprio quello di una ragazzina spaventata.
L’uomo, allora, scappò via come un fulmine e sparì nel bosco.
Sakina era preoccupata, ma si rincuorava dicendosi che la sua buona stella vegliava su di lei. Considerò persino di tornare indietro, ma il pensiero della nonna la convinse a compiere il suo dovere. Proseguì dunque per la sua strada senza fretta.
Come una furia, l’uomo entrò dalla finestra, si precipitò sulla nonna che dormiva e la pugnalò selvaggiamente. Lei ebbe appena il tempo di pronunciare la formula attestante che esiste un solo Dio e Maometto è il suo profeta. Non fu difficile per il bruto nascondere il corpo della donna in una coperta e infilarlo sotto il letto prima di prendere posto, vagamente camuffato, proprio lì dove l’anziana riposava qualche minuto prima.
Sakina aveva il presentimento che fosse appena successo qualcosa di brutto. Era una sensazione che conosceva bene, il suo cuore la informava fedelmente di certi avvenimenti. Si fermò di colpo davanti alla porta e tese le orecchie, ma non sentì niente. Allora chiamò sua nonna. Nessuna risposta. Bussò alla porta e gridò:
― Nonna! Nonna, ci sei?
Il barbuto rispose con voce profonda e tremolante:
― Sì, sono qua, nipotina mia, la chiave è nel vaso di terracotta.
Entrò lentamente e sentì uno strano odore.
― Che cos’è questo odore, nonna?
― Oh, nipotina mia, il vicino ha sgozzato un montone per la nascita di suo figlio, c’è puzza di sangue… Non farci caso, vieni, vieni subito a riscaldare la tua vecchia nonna malata.
Avvicinandosi, Sakina capì che il barbuto si era travestito e aveva preso il posto della nonna. Si sentì gelare il sangue, per poco non svenne, ma qualcosa di forte dentro di lei glielo impedì. Soprattutto non voleva destare sospetti. Quindi, con un filo di voce, disse:
― Ma nonna, è meglio che non mi avvicini a te, potresti attaccarmi i tuoi microbi! Resterò un po’ distante dal letto.
― D’accordo. Ma per favore, dammi quello che mi hai portato.
― Certo nonna, il tempo di togliermi il burqa e mi occupo di te.
Entrò in cucina e scoppiò in lacrime. Si mise alla ricerca di un grosso coltello per difendersi, ma non ce n’erano. Riprese allora il controllo di sé e disse:
― Ehi nonna, ti va di raccontarmi la storia del lupo vegetariano?
In quel momento il barbuto, che non ne poteva più, si alzò come una tigre e balzò su Sakina, che lo evitò per un pelo. Cadde sullo spigolo del tavolo. Iniziò allora una terribile lotta. Sakina, più leggera e più agile, saltava da una parte all’altra, schivando le braccia tese del barbuto che urlava rabbioso:
― Ah, pensi di sfuggirmi? Dio fa bene a metterci in guardia dalle abilità insidiose delle donne, vedrai, lurida mocciosa, vedrai quando sarai sottomessa alla mia volontà!
Sakina non rispose, continuava a correre a destra e a manca lanciando dietro di sé tutto quello che trovava per aumentare gli ostacoli sul suo percorso.
(Il barbuto, ovviamente, è più forte e meglio armato. In teoria, dovrebbe immobilizzarla e violentarla prima di ucciderla. Ma era scritto che, per una volta, l’innocenza avrebbe prevalso sul male assoluto, e le donne sulla brutalità di certi uomini).
A forza di correre per tutta la casa, il barbuto perse il travestimento e rimase nudo come un verme. Sakina scoppiò a ridere indicandogli il pene:
― Oh come ce l’ha piccolo il signorino! Accidenti! È con quello che violenti le donne? È minuscolo, dovresti vergognarti…
Più lei rideva, più il barbuto si arrabbiava perché non riusciva ad acchiapparla.
Adesso se ne stava aggrappata in cima a una trave. Sarebbe servita una scala per raggiungerla. Impossibile. Lassù era fuori pericolo. Ecco perché Sakina, sicura di sé e della sua posizione, riprese a sbeffeggiarlo:
― Dici di essere musulmano! Povero islam! Non sei degno di far parte di questa religione. Sei solo un maniaco sessuale con un pisellino microscopico che non farebbe venire voglia a nessuno. Sei brutto e puzzolente, sei una nullità, un assassino…
― Ma tu sei un demonio, dove hai imparato tutte queste cose?
― Sì, un demonio che ti taglierà i genitali. Tanto non ti servono a niente, solo a fare pipì… Ed è proprio quello che farò quando ti acchiapperò!
Il barbuto trascinò un tavolo, ci mise sopra uno sgabello traballante e provò a montarci su. Ma si schiantò per terra. Il sangue iniziò a colare, poiché cadendo gli si era infilzato il pugnale nel fianco. Forse aveva preso il fegato? Piangeva dal dolore, strisciava per terra e supplicava che qualcuno lo aiutasse. La sua condizione, tuttavia, non gli impediva di proferire minacce:
― Vedrai cosa ti farò; rimpiangerai il giorno in cui sei nata, figlia di Satana.
Sakina scese con calma dalla trave, riuscì a legargli i piedi e uscì fuori a chiamare aiuto. C’erano dei vicini, dei cacciatori che stavano lucidando le armi. Sakina gli raccontò che aveva appena sconfitto l’assassino di sua nonna. Faticarono a crederci.
― Tu, così minuta, così giovane, sei riuscita a fermare un criminale?
― Sì, diciamo che ho avuto fortuna. Ma ora dobbiamo chiamare la polizia.
― Poverina, credi davvero che la polizia interverrà?
― È l’occasione di dimostrare che può ancora fare qualcosa, visto che si tratta di un Ipocrita, uno di quei barbuti che avvelenano le nostre vite.
Gli uomini si precipitarono dentro la casa verde. Il barbuto giaceva nel suo sangue, agonizzava continuando a insultare Sakina.
Alla fine arrivò la polizia. Il comandante era parecchio soddisfatto di arrestare un bruto del genere, il quale confessò subito il suo crimine:
― Dio mi ha punito, mi sono colpito con il mio stesso pugnale… È una punizione divina…
L’ambulanza ritardò a causa dei posti di blocco eretti dagli Ipocriti. Quando arrivò era troppo tardi, il barbuto aveva ormai reso l’anima a Dio.
Il comandante di polizia ci tenne a riaccompagnare Sakina a casa e porse le condoglianze a sua madre, congratulandosi con lei per avere una figlia così intelligente e forte.
Tutti piangevano. L’indomani si venne a sapere che grazie a un’operazione della polizia e dell’esercito erano stati arrestati diversi membri della setta degli Ipocriti. Gli altri si erano dati alla fuga, poiché avevano la loro retroguardia nel paese vicino, divenuto la roccaforte del terrorismo internazionale.
Il funerale della nonna fu l’occasione, per il popolo, di denunciare non soltanto la setta degli Ipocriti, ma anche il paese che li aiutava. Ci furono manifestazioni un po’ ovunque con l’appoggio dell’esercito, che nominò un capo di Stato per garantire l’interim. Alcuni sostenitori della setta cercarono di seminare scompiglio ma la polizia riprese in mano la situazione e diede la caccia a chi aveva portato le tenebre.
Sakina riprese gli studi. Un giorno, il professore assegnò come traccia del tema: «Commenta questa espressione: L’uomo è un lupo per l’altro uomo». Forte della sua esperienza, la bambina spiegò pagina dopo pagina che il lupo non c’entrava niente in questa storia, tanto meno il topo, e concluse con una formula che le parve più appropriata: L’uomo è un uomo per l’altro uomo.
Da allora, il professore consultò Sakina sistematicamente prima di proporre agli alunni un determinato argomento di studio, poiché la considerava non solo molto intelligente, ma anche dotata di una saggezza e di un buon senso ammire.
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Testo tradotto da Francesca Bonaccorsi, Samantha Bucalossi e Valeria Ebana nell'ambito del laboratorio di traduzione dal francese condotto da Linda Cibati.