Ozymandias (nome greco del faraone Ramsete II) è un sonetto d’occasione composto nel 1817 dal poeta inglese Percy Bysshe Shelley, letterato dall’animo ribelle ed anticonformista appartenente alla seconda generazione del Romanticismo. Incentrato sulla caducità del tempo e delle cose, attraverso l’immagine di un colosso egizio in rovina sepolto dal potere distruttivo della sabbia, il componimento esprime una forte critica all’umanità. In esso il Mediterraneo, culla di grandi imperi, diviene luogo archetipico della gloria del passato e riflesso della precarietà e della transitorietà della società moderna.
Ozymandias
Incontrai un viandante da un’antica terra
Che disse: “Due enormi gambe di pietra senza tronco
Si ergono nel deserto… Accanto, quasi sepolto
Nella sabbia, giace un volto infranto, il cui cipiglio
E il labbro corrugato e il freddo ghigno di comando
Rivelano che lo scultore ben colse quelle passioni
Che ancora sopravvivono, impresse su queste cose senza vita,
Alla mano che le creò ed al cuore che le nutrì:
E sul piedistallo queste parole appaiono:
“Ozymandias è il mio nome, re dei re:
Mirate le mie opere, o potenti, e disperate!”
Null’altro resta. Intorno al declino
Di quel relitto colossale, sconfinate e spoglie,
Si distendono lontano sabbie piane e solitarie”.
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Testo tradotto da Livio D'Alessio, Valeria Ebana e Mariasole Mugnano nell’ambito del
laboratorio online di traduzione dall’inglese tenuto da Elena Campani.
Introduzione di Valeria Ebana.