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Cattura

Il racconto Mississippi Mary della scrittrice statunitense Premio Pulitzer Elizabeth Strout fa parte della raccolta Anything is Possible, un puzzle narrativo di storie che vanno a formare un vero e proprio romanzo in cui vengono descritti l’eterna lotta tra desideri personali e doveri pubblici, così come il coraggio di confrontarsi con il passato e, parallelamente, con il dolore dei ricordi. Ambientato in una Liguria vista con occhi diversi da ciascuna delle due protagoniste, questo testo esplora il rapporto tra madre e figlia, sottolineando come le dinamiche umane siano influenzate da fattori che sfuggono al controllo delle persone e da decisioni dettate dalle circostanze.

Mississippi Mary

– Di’ a tuo padre che mi manca, – disse Mary, asciugandosi gli occhi con il fazzolettino che le porgeva la figlia. – Glielo dici, per favore? Digli che mi dispiace.La figlia rivolse lo sguardo al soffitto — che soffitti alti in questi appartamenti italiani — e si girò un attimo verso la finestra da cui si vedeva il mare per poi portare di nuovo gli occhi su sua madre. Angelina non riusciva a smettere di pensare a quanto sua madre apparisse vecchia e minuta. E incredibilmente abbronzata. Disse: – Mamma, ti prego, smettila. Basta, mamma. Mi ci sono voluti tutti i risparmi di un anno per volare fin qui e ti trovo in questo orribile — scusa, ma te lo devo proprio dire —, in questo squallido bilocale con questo tipo, Dio mio, tuo marito. E ha quasi la mia età, anche se abbiamo fatto sempre finta di niente, anche perché cos’altro potevamo fare? Ormai hai ottant’anni, mamma.– Settantotto –. Mary aveva smesso di piangere. – E lui non ha affatto la tua età. Ne ha sessantadue. Su, tesoro.

Angelina disse: – Va bene, settantotto. Ma hai avuto un ictus e un infarto.

– Ma per piacere. È successo anni fa.

– E ora mi chiedi di dire a papà che ti manca.

– Ma mi manca davvero, tesoro. Immagino che in certi giorni anche lui senta la mia mancanza –. Il gomito di Mary poggiava sul bracciolo della poltrona; agitò svogliatamente il fazzolettino.

– Mamma. Non lo capisci, vero? Dio mio, continui a non capire –. Angelina si abbandonò sul divano portandosi le mani alla testa e passandosi le dita tra i capelli.

– Non urlare, tesoro, ti prego. Ti abbiamo insegnato ad urlare alla gente? – La madre infilò il fazzoletto nella sua grande borsa di pelle gialla. – Non ho mai avuto la sensazione di capire un granché. No, ci sono tante cose che non ho capito, sono d’accordo con te. Però con me non urlare, per favore, Angelina. Te l’ho già detto! – La figlia di Mary, la più giovane di cinque femmine e (in segreto) la preferita, si chiamava Angelina perché durante la gravidanza Mary sapeva di portare in grembo un piccolo angelo. Mary si raddrizzò sulla poltrona e guardò la sua bambina che ormai da anni era una donna di mezza età. Angelina non ricambiò lo sguardo. Dall’angolo in cui era seduta, Mary vedeva il sole che illuminava il campanile della chiesa e lasciò che il suo sguardo vi si posasse sopra.

– Papà urlava in continuazione, – disse Angelina, con gli occhi abbassati sulla fodera del divano. – Non puoi urlarmi perché urlo e dire che non mi è stato insegnato così, quando sono stata cresciuta da uno che urlava e parecchio. Papà abbaiava come un cane.

– Zanna gialla… –. Mary si mise una mano sul petto. – Certo che era proprio un film triste. Sì, da piccole vi avevamo portate a vederlo e credo che Tammy per un mese non sia riuscita a dormire. Ricordi che portavano quel povero cane nei prati e poi l’uccidevano?

– Dovevano farlo, mamma. Era rabbioso.

– Sabbioso?

– Rabbioso. Oh, mamma, non voglio che tu mi intristisca così –. Angelina chiuse gli occhi per un attimo, tamburellando leggermente sul divano.

– Ma certo che no, – concordò la madre. – Davvero hai speso tutti i tuoi risparmi per venire qui? Tuo padre non ti ha aiutato per niente? Tesoro, non ti stavo urlando perché urlavi. Dai, andiamo a fare qualcosa di divertente. 

Angelina disse: – Sembra tutto così difficile in un paese straniero. E gli italiani sembrano orgogliosi di non parlare inglese. L’hai pensato anche tu quando eri appena arrivata? Che tutto sembrava difficile.

Mary annuì. – Sì, ma poi alle cose ci si abitua. Sai, per settimane se non c’era Paolo non provavo nemmeno a prendere un caffè in quel posto all’angolo. All’inizio pensavano che io fossi sua madre. Poi hanno scoperto che ero sua moglie e credo che ridessero di noi. Ma Paolo mi ha insegnato a pagare lasciando gli spiccioli sul piattino.

– Mamma.

– Cosa c'è, tesoro?

– Oh, mamma, mi fa tristezza. Tutto qui.

– Non saper come pagare con gli spiccioli giusti sul piattino?

– No, mamma. Che ti credessero sua madre.

Mary ci rifletté. – Ma poi perché avrebbero dovuto pensare che ero sua madre? Io sono americana, lui è italiano. Magari non ci facevano neanche caso.

– Tu sei mia madre! – sbottò Angelina, facendo quasi piangere un’altra volta Mary per l’improvvisa e lacerante consapevolezza di tutto il danno che doveva aver fatto lei, Mary Mumford, che in vita sua non aveva mai avuto intenzione né voluto far danno a nessuno.

Si sedettero accanto alla finestra del bar subito dopo la chiesa: il locale era costruito sugli scogli che sporgevano sul mare. Il sole di fine agosto splendeva all’impazzata su tutto. In quattro anni Mary non aveva mai smesso di meravigliarsi della bellezza di quel paesino. Ma Mary era molto preoccupata; Tammy, la figlia maggiore, le aveva scritto in una mail che il matrimonio di Angelina era in crisi, e Mary aveva pensato di parlarne con lei appena fossero rimaste sole, ma finora non sembrava esserci riuscita. Avrebbe dovuto aspettare che fosse Angelina a tirare fuori l’argomento. Mary indicò una grande nave da crociera diretta a Genova e Angelina annuì. La finestra accanto a loro e anche la porta erano aperte. Mary mangiò il suo cornetto all’albicocca e poi appoggiò la mano sul braccio di Angelina; cominciò a cantare sottovoce Always on my mind, ma Angelina aggrottò le sopracciglia e disse – Vai ancora pazza per Elvis?

– Certo –. Mary si tirò su e mise le mani in grembo. – Paolo mi ha scaricato tutte le sue canzoni sul cellulare.

Angelina aprì la bocca e la richiuse.

Con la coda dell'occhio Mary notò di nuovo che l'età aveva cambiato la sua bambina; intorno alla bocca e agli occhi Angelina aveva delle rughe che Mary non ricordava. I suoi capelli, ancora castano chiaro e ancora portati sotto le spalle, erano più fini di una volta. E i jeans che indossava erano così stretti! Mary lo aveva notato subito. – Sai, tesoro, – disse Mary, indicando il mare con un gesto, – mi piace tanto come in Italia si vive molto più fuori. Questa porta aperta, la finestra aperta.

Angelina disse: – Ho freddo.

– Prendi questo, – Mary le passò il foulard che indossava sempre. – Aprilo, – le suggerì, – è abbastanza grande da coprire quelle spallucce pelle e ossa. 

La figlia minore ubbidì.

– Raccontami della tua vita, – disse Mary. – Le piccole cose, se ti va.

Angelina rovistò nella sua borsa blu di paglia e prese il cellulare che posò tra di loro sul tavolo. – Beh, sono andata con i gemelli ad una fiera dell’artigianato e non immagini quello che abbiamo preso. Aspetta, forse ho una foto nel telefono –. Mary avvicinò la sedia e sbirciò il cellulare, dove riuscì a notare il bel maglione rosa che uno di loro aveva comprato per il compleanno di Tammy. 

– Raccontami di più, – disse Mary. All’improvviso il suo desiderio di sapere era grande quanto il cielo. Fammi vedere, fammi vedere, gridava il suo cuore. – Fammi vedere tutte le foto, – disse.

– Ne ho seicentotrentadue, – replicò Angelina, socchiudendo gli occhi sul telefono. 

– Mostramele una per una. – Mary rivolse un gran sorriso alla sua dolce piccolina. 

– Ma niente pianti, –la avvertì Angelina. 

– Non una lacrima.

– Una lacrima e smettiamo.

– Santo cielo, – disse Mary, pensando: Ma chi l’ha cresciuta questa ragazza? 

Mentre tornavano a piedi al caseggiato, una nuvola coprì il sole e la luce cambiò notevolmente. Tutto a un tratto la giornata sembrò autunnale, in contrasto con le palme e gli edifici dai colori vivaci. Lo notò persino Mary che forse avrebbe dovuto esserci abituata. Ma la donna si sentiva frastornata da tutto quello che aveva visto sul telefono di sua figlia, tutta la vita che in Illinois andava avanti senza di lei. Disse: – L’altro giorno ho ripensato alle sorelline Nicely. Il Club, forse mi è tornato in mente il Club e le feste da ballo.

– Le sorelline Nicely erano delle troie, – disse Angelina senza voltarsi.

– Ma no che non lo erano. Angelina. Non dire sciocchezze.

– Mamma –. Angelina si fermò e si voltò verso la madre. – Erano delle troie. Almeno le due più grandi di sicuro. Sono andate a letto praticamente con tutti.

Anche Mary si fermò. Si tolse gli occhiali da sole e guardò la figlia. – Ma dici sul serio?

– Mamma, pensavo lo sapessi.

– E come diamine potevo saperlo?

– Lo sapevano tutti, mamma. E te lo avevo già detto a quel tempo. Dio mio –. Dopo un attimo Angelina aggiunse: – Patty no, però. Penso di no.

– Patty?

– La più piccola delle Nicely. Ora siamo amiche. Angelina si sistemò gli occhiali da sole sul naso.

– Ah, bene, – disse Mary. – Patty chiari... Da quanto tempo siete amiche?

– Da quattro anni. Lavora con me.

Quattro anni, pensò Mary. Quattro anni che non vedo il mio angioletto adorato. Lanciandole un’occhiata, Mary pensò di nuovo che quei jeans fossero troppo attillati su quel sedere minuscolo. Ormai Angelina era una donna di mezza età. Forse aveva un amante? Mary scosse la testa lentamente. – Comunque pensavo a loro quando erano ragazzine, dico le sorelline Nicely. Io e tuo padre siamo andati al matrimonio di una di loro. Avevano fatto il ricevimento al Club. 

Angelina aveva ripreso a camminare. – Ti manca mai? – le chiese senza voltarsi. – Il Club.

– Oh, tesoro –. A Mary mancava il fiato. – No, non posso dirlo. Sai, non è mai stata roba per me.  

– Ma voi ci andavate spesso –. Un leggero colpo di vento sollevò i capelli di Angelina e le punte si sollevarono dritte sulle spalle.

– Vero –. Mary seguì la figlia su per la strada e, un istante dopo, Angelina si girò ad aspettarla. – C’era quella parete, piena di punte di freccia indiane nelle teche, non so… – disse Mary.

– Non sapevo che non ti piacesse, – disse la figlia. – Mamma, anche la mia festa di matrimonio l’abbiamo fatta là.

– Tesoro, ho detto che non era roba per me ed è così. Non sono cresciuta in quell’ambiente e non mi ci sono mai abituata, tutto quello sfoggio di vestiti nuovi e quelle donne stupide –. Accidenti, pensò Mary. Oh-oh.

– Mamma, ti ricordi la signora Nicely? Sai cosa le è successo? – Angelina guardò sua madre con gli occhi nascosti dalle lenti scure. 

– No. Cosa le è successo? – domandò Mary; l’ansia l’assalì e le si annidò nel petto. 

– Niente. Dai, andiamo.

– Aspetta un momento, – disse Mary. Entrò in un negozietto e Angelina la seguì. L’uomo al bancone disse: – Ah, buongiorno, buongiorno –. Mary rispose in italiano, indicando Angelina. Lui posò un pacchetto di sigarette sul piccolo banco davanti a sé. Mary disse: – Sì, grazie, – e poi qualcos’altro che Angelina non capì. Poi l’uomo spalancò la bocca in un enorme sorriso, mostrando denti macchiati e spazi vuoti. Lui rispose velocemente a sua madre. Mary si voltò, urtando Angelina con l’enorme borsa di pelle gialla. – Tesoro, dice che sei bellissima. Beautiful! – La madre si rivolse di nuovo all’uomo e poi tornarono in strada. – Dice che mi assomigli. Oh, erano secoli che non me lo dicevano. Prima sì, sempre, È tutta sua madre, dicevano. 

– Mamma, fumi ancora?

– Una sigaretta al giorno, sì.

– Mi piaceva tanto quando la gente mi diceva che ti assomigliavo, – disse Angelina. – Sei sicura che una sigaretta al giorno vada bene?

– Non sono ancora morta –. E stava per dire: Mi stupisce non essere ancora morta. Ma si era imposta di non parlare della propria morte con Angelina.

Angelina prese a braccetto la madre, che la tirò da parte per far passare una donna in bicicletta. – Mamma, – disse Angelina voltandosi a guardarla, – quella donna ha la tua età e fuma, ha le perle al collo e i tacchi alti, e va in bici con dietro un cestino pieno di roba.

– Oh, lo so, tesoro. Ha stupito anche me quando sono arrivata. Poi ho capito: queste donne sono solo un’altra versione di quelle che da noi accostano con la macchina davanti a Walmart. Qui però vanno in bici.

Angelina sbadigliò spalancando la bocca. Alla fine disse: – A te ha sempre stupito tutto, mamma.

Una volta tornate all’appartamento, Mary si sdraiò sul letto per il suo riposino pomeridiano e Angelina disse che avrebbe mandato una mail ai figli. Dalla finestra Mary vedeva il mare. – Porta qui il computer, – gridò alla figlia, ma Angelina rispose: – Riposati, mamma, io sto bene qui. Li sentiamo più tardi su Skype. 

Ti prego, pensò Mary. Ti prego, vieni qui e stai con me. Perché il fatto che la figlia minore — la sua preferita, l’unica delle sue bambine che non vedeva da quattro anni, che si era rifiutata di andarla a trovare, nonostante gliel’avesse promesso un anno prima —, il fatto che quella ragazza (donna, anzi) adesso fosse nella stanza accanto dava alla vita di Mary una sensazione di naturalezza, sebbene non fosse per niente naturale averla lì. Ti prego, pensò Mary. Ma era stanca e il “Ti prego” avrebbe potuto essere anche per Paolo perché si divertisse con i figli che era andato a trovare a Genova, o un “Ti prego” perché le altre sue ragazze fossero sempre in salute, oh, c’erano così tante cose per cui Mary avrebbe potuto dire “Ti prego”. 

Kathie Nicely.

Mary si sollevò su un gomito. La donna che aveva abbandonato la famiglia. Una vampa di calore attraversò Mary proprio al ricordo della donna: minuta, graziosa. – Eh, – mormorò Mary, sdraiandosi di nuovo. A Kathie Nicely, nonostante i sorrisi, Mary non era mai piaciuta e solo ora capiva che era per colpa delle sue umili origini. «Umili origini» è ciò che la suocera di Mary aveva detto a proposito del passato della nuora. Ed era vero. Non avevano il becco di un quattrino. Ma Mary era stata una ragazzina bella e anche una cheerleader quando aveva attirato l’attenzione del giovane Mumford, il cui padre aveva quella grossa azienda di macchine agricole. Che ne poteva sapere allora? Sdraiata sul letto, Mary scosse la testa. Meno di niente, ne sapeva.

Beh, pensò, girandosi su un fianco, qualcosa ora sapeva: che Kathie Nicely non l'aveva mai considerata. Fece un gesto sprezzante con la mano. Però al matrimonio di una delle ragazze erano andati. La maggiore? Probabilmente lei. Anni e anni fa.  

Aspetta. Aspetta. Aspetta. 

Ora le era venuto in mente. Kathie Nicely se ne era già andata di casa e al matrimonio si mormorava che avesse una storia. E per qualche motivo — chissà perché, poi — erano state proprio le dicerie a far capire a Mary che anche suo marito aveva una relazione, con quell’orribile cicciona di Aileen, la sua segretaria. C’era voluto qualche giorno per farlo confessare, poi Mary aveva avuto un infarto… Beh, di certo non aveva più pensato a Kathie Nicely mentre tutto il proprio mondo le crollava addosso.

Si allungò sul letto per prendere la borsa gialla, prese il telefono e si mise gli auricolari; Elvis cantava I’ve lost you. Con due anni in più rispetto a Mary e originario della stessa cittadina del Mississippi dove Mary era nata, Elvis Presley era sempre stato il suo amico segreto, anche se non l’aveva incontrato nemmeno una volta, dato che era stata portata via nella sperduta campagna dell’Illinois quando era solo una bambina, così che suo padre potesse lavorare nella stazione di servizio del cugino, in un posto chiamato Carlisle. Una volta Elvis si era esibito a un paio d’ore da dove abitava lei, ma con le bambine così piccole non era potuta andare a vederlo. Oh, Mary aveva passato più tempo di quanto si possa immaginare a pensare a Elvis e quel piacere mentale — perché era tutto nella sua testa e nessun altro poteva conoscerlo — era cresciuto ancora di più i primi tempi del suo matrimonio. Nella sua mente era stata dietro le quinte con Elvis; aveva guardato nei suoi occhi malinconici e gli aveva fatto intendere che lei lo capiva. Nella sua mente l’aveva consolato dopo che uno stupido comico lo aveva chiamato “grasso quarantenne” alla televisione nazionale; nella sua mente avevano trascorso del tempo da soli mentre lui le parlava del posto dov’era nato e della sua mamma. Quando era morto, Mary aveva pianto di nascosto per giorni.

Paolo invece… a lui aveva raccontato della sua vita immaginaria con Elvis e Paolo l'aveva guardata con un occhio socchiuso, aveva allargato le braccia e l’aveva stretta a sé. La libertà. Dio mio, la libertà di essere amata! 

Si svegliò e vide la figlia sulla soglia. Mary picchiettò sul letto accanto a sé. – Vieni, tesoro. Non è il suo lato. Sul suo lato ci sono io.

Angelina posò il suo piccolo computer lucente sul cassettone e andò a coricarsi accanto alla madre. Mary disse: – Guarda il mare, arriva dritto fino in Spagna –. Angelina chiuse gli occhi. Mary si tirò un po’ più su. – Dimmi, come va il cervello di tuo padre? – Fece un leggero rutto e il ripieno del cornetto all’albicocca le ritornò un po’ su.  

– Non dà segni di demenza, – disse Angelina, – anche se lo tengo d’occhio. 

– Bene, – replicò Mary. Trovò un fazzolettino di carta nella borsa gialla e se lo portò alle labbra. – Io però intendevo il cancro. 

Angelina aprì gli occhi e si mise a sedere. – Non c’è stata nessuna recidiva. Non credi che te l’avremmo detto?

– Non lo so, – rispose Mary in modo sincero.

– Non siamo cattive, mamma. Te lo diremmo se papà stesse di nuovo male. Dai, mamma. 

– Angelo mio, certo che non siete cattive. Nessuno l’ha detto. Chiedevo e basta. Mary pensò: Sono una stupida. Questa lucidità di pensiero le fece provare pena per la figlia e le tornò la voglia di piangere. Si tirò ancora più su. – Dai, non ci pensiamo –. Dalla borsa estrasse un sacchetto di plastica pieno di fazzolettini usati e li gettò in un cestino sotto il comodino. 

Angelina si mise a ridere. – Quanto sei buffa con la tua perenne collezione di fazzoletti usati. 

Sentire la risata della sua dolce bambina fece ridere anche Mary. – Te l’ho detto, quando hai cinque bambine tutte a casa con il raffreddore, devi girare di continuo a raccogliere fazzolettini. – Lo so, mamma, certo che lo so –. Angelina appoggiò la testa sul braccio della madre, che con una mano le accarezzò il viso sfiorandola.

Chi rompe un matrimonio dopo cinquantun anni? Di sicuro non Mary Mumford. Scosse la testa. Angelina domandò: – Che c’è, mamma? – Mary scosse di nuovo la testa. Erano ancora sul letto. Chi rompe un matrimonio dopo cinquantun anni?

Beh, proprio Mary. Aveva aspettato che le cinque ragazze fossero grandi, aveva aspettato di riprendersi dall’infarto che aveva avuto quando aveva scoperto che la relazione tra suo marito e la sua segretaria durava da tredici anni — tredici anni con quella cicciona — e poi aveva aspettato di riprendersi dall’ictus che le era venuto quando il marito aveva trovato le lettere di Paolo, ormai quasi dieci anni fa. Accidenti, se aveva urlato, il viso paonazzo, quella terribile vena da un lato della fronte sul punto di scoppiargli e invece era scoppiata a lei. Immaginava che facesse parte del matrimonio, farsi carico delle vene gonfie di lui, e poi aveva aspettato che lui sopravvivesse al cancro al cervello che sembrava essergli venuto dopo che lei gli aveva detto che lo lasciava. E così aveva aspettato e aspettato e anche Paolo, poveretto, aveva aspettato e ora…  eccola lì. 

Come si fa a dire? Non si sa mai niente e chi pensa di saperne qualcosa, beh, deve aspettarsi delle gran belle sorprese.

– Sei stata così buona con me –. Angelina si tolse le scarpe nere basse mentre era ancora sdraiata; caddero a terra senza fare troppo rumore.

– Che vuoi dire, tesoro?

– Che sei stata tanto buona con me, mamma. Mi hai messa a letto fino a diciott’anni.

– Ti volevo bene, – disse Mary. – E te ne voglio ancora.

– Dicevi che questo è il tuo lato del letto, no? – Angelina si sedette.

– Sì, tesoro, giuro.

Angelina sospirò e si coricò di nuovo accanto a sua madre. – Mi dispiace. Domani sarò gentile con lui, quando torna. Lo so che è una brava persona, mamma. Sto facendo la bambina.

Mary disse: – Al tuo posto anch’io mi sentirei così, – ma pensò che non era vero. Diede un’occhiata all'orologio e aggiunse: – Andiamo. È l’ora della mia nuotata.

Angelina scese dal letto, si lisciò i capelli su una spalla. – Sei molto abbronzata, – disse alla madre. – È strano vederti così scura. 

– Beh, è il mare –. Mary andò in bagno e si infilò il costume sotto un vestito. – Andiamo. Vedrai, non devi fare nulla in acqua. Solo stare ferma. Ti tiene a galla, giuro.

Alle quattro il sole splendeva come non mai e illuminava le case costruite sulle colline, con i loro colori pastello, i fiori di un giallo acceso, le palme. Mary camminò sugli scogli con le sue scarpette di gomma giù fino in spiaggia. Si tolse il vestito, lo mise sull’asciugamano e prese gli occhialini. 

– Mamma, ma porti un bikini.

– Un due pezzi, tesoro. Guardati intorno. Vedi qualcuno con un costume intero? A parte te? – Mary si mise gli occhialini ed entrò in acqua e un attimo dopo sguazzava al largo e riusciva a vedere dei pesciolini sotto di sé. La sua nuotata era il momento della giornata che preferiva e lo era anche ora, perfino con sua figlia in visita. Gli schizzi la fecero fermare. Angelina era lì con i capelli bagnati. – Mamma, sei così buffa. Col tuo bikini giallo. E gli occhialini. Oh Dio, mamma! – E nuotarono ridendo, mentre il sole le colpiva di striscio.

Seduta su uno scoglio caldo, Angelina disse: – Hai delle amiche?

– Certo, – annuì Mary. – Valeria è la mia amica più cara. Non ti ho scritto di lei? Oh, le voglio davvero bene. L’ho conosciuta in piazza. L’avevo vista seduta accanto ad una vecchia signora. Sai, Angelina, Valeria ha un viso dolcissimo, il viso più dolce che abbia mai visto. A parte il tuo. Era seduta sul lungomare con un’anziana che aveva le gambe scurite da un centinaio di anni di sole. Fissavo le gambe di quella donna, le vene viola dentro quelle gambe scurissime, sembravano salsicce, davvero, e ho pensato: Che miracolo che è la vita! Quelle vecchie gambe che pulsano ancora sangue. E mentre lo pensavo ho dato un’occhiata alla donna che parlava con lei. Piccina piccina, minuta, Valeria, sembrava quasi seduta in braccio all’altra e poi la dolcezza di quel viso… Sai… – Mary scosse la testa. – E poi, due giorni dopo, vicino alla chiesa, questa donna minuta viene verso di me. Lei sa un po’ d’inglese e io un po’ d’italiano. Sì, un’amica ce l’ho. Te la faccio conoscere, a lei farebbe piacere.

– Sì, – disse Angelina. – Magari tra qualche giorno. Non lo so.

– Quando vuoi.

Davanti a loro c’erano quattro navi, una da crociera diretta a Genova e tre petroliere. 

– Lui ti tratta bene, mamma?

– È bravissimo con me, – disse Mary.

– Va bene. Allora va bene –. Un attimo dopo Angelina aggiunse: – E i figli? E le loro mogli? Anche loro ti trattano bene?

– Sì, è tutto perfetto –. Mary liquidò la cosa con un cenno della mano. – Guarda cosa ha fatto Paolo per me, tesoro. Mi ha scaricato tutte le canzoni di Elvis sul telefono –. Mary prese il cellulare, lo guardò e lo rimise nella sua grande borsa gialla. 

– Eh, me l’hai detto, – disse Angelina. E poi, con un tono più gentile, aggiunse: – Ti è sempre piaciuto il giallo, – e toccò la borsa della madre. – Questa è sicuramente gialla.

– Sì, ho sempre amato il giallo. 

– Ah, e il tuo bikini giallo. Mi fai sbellicare, mamma.

Un’altra nave apparve lontano all’orizzonte. Mary la indicò ed Angelina annuì leggermente.

Mary riempì la vasca per Angelina, come aveva fatto per anni, e quasi si chiese se la figlia l’avrebbe fatta rimanere a chiacchierare, come faceva spesso quando era piccola. Ma Angelina disse: – Bene, mamma. Faccio presto.

Sdraiata sul letto — dove trascorreva gran parte delle sue giornate — Mary guardava il soffitto alto e pensò che quello che la figlia non riusciva a capire era come ci si sente ad avere così tanta fame. Quasi cinquant’anni di carestia. Alla festa a sorpresa per il quarantunesimo compleanno del marito — e Mary era così orgogliosa di averla organizzata per il quarantunesimo perché lui sarebbe stato davvero sorpreso e, cavolo, se lo era stato — aveva notato che lui non aveva ballato con lei, neanche una volta. Poi si era accorta che lui non l’amava. E neanche alla festa per il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio, organizzata dalle ragazze, lui non le aveva mai chiesto di ballare.

Più avanti, quello stesso anno, per il suo sessantanovesimo compleanno le figlie le avevano regalato un viaggio organizzato in Italia. E quando il gruppo aveva visitato il paese di Bogliasco, lei si era persa sotto la pioggia e Paolo, che parlava inglese, l’aveva trovata e lei non aveva fatto troppo caso alla sua età. Si era innamorata. E davvero. Lui era stato sposato per vent’anni che gli erano sembrati cinquanta e adesso era solo — due persone affamate. 

Ultimamente però lei pensava più spesso a suo marito, il suo ex marito. Si preoccupava per lui. Non si può vivere per cinquant’anni con qualcuno senza poi preoccuparsene. E senza sentirne la mancanza. A volte si sentiva affranta perché lui le mancava. Angelina non aveva ancora accennato al suo di matrimonio e Mary stava aspettando con apprensione che lo facesse. Il marito di Angelina era un brav’uomo. Chissà! Chi sa. 

Dentro la vasca Angelina portò la testa indietro e si ricoprì i capelli di shampoo. Era stata felicissima al mare con sua madre. Ora però, in quell’orribile vecchia vasca con i piedini ad artiglio, cercando di tenere fermo quello strano tubo della doccia in modo che l’acqua non finisse dappertutto, Angelina provava la sensazione peggiore di tutte, quella di non riuscire a capacitarsi delle cose. Non riusciva a credere che la madre avesse un aspetto così diverso. Non riusciva a credere che non vivesse più a dieci miglia da lei, dai suoi nipoti. Non riusciva a credere che si fosse sposata con un italiano noioso dell’età di Tammy. No, mentre si insaponava la testa, voleva piangere. No no no! Oh, sua madre le era mancata in modo tremendo. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, non aveva parlato altro che di sua madre e Jack l’aveva ascoltata, ma alla fine, tutto d’un tratto, se n’era andato dicendo, Sei innamorata di tua madre, Angie, non di me. E così era andata lì a trovarla per raccontarle del suo matrimonio: alla donna — sua madre — di cui era innamorata. 

E tutto per trovarsi davanti alla bella faccia di Paolo che era andato a prenderla all’aeroporto insieme con quella vecchietta abbronzata — sua madre! — e che poi le aveva scorrazzate in macchina fin lì su quelle strade strampalate. Quindi chi se ne importava se era andato a trascorrere qualche giorno dal figlio a Genova perché Angelina potesse passare del tempo da sola con la madre? Angelina odiava tutto di quel posto, la bellezza di quello stupido paesino, i soffitti alti di quel brutto appartamento, l’arroganza degli italiani. Ora le tornavano in mente la sua gioventù, le infinite distese di granturco vicino a casa loro in Illinois. Suo padre era uno che urlava, è vero. E aveva avuto quella stupida relazione con quella stupida cicciona per tredici anni, vero anche questo. Ma agli occhi di Angelina tutto questo era solo patetico — doloroso, certo, ma patetico. Perché sua madre non riusciva a vedere quello che aveva fatto, andandosene? Perché non lo capiva? Poteva esserci solo una ragione: che sua madre, al di là dei suoi modi strambi, fosse un po’ scema; che mancasse di immaginazione. 

U-eeeeeh! U-eeeeeh! Così diceva sempre suo padre quando le vedeva piangere, portando la faccia proprio davanti alle loro. Era stato veramente un odioso ipocrita (ma era suo padre e lei gli voleva bene lo stesso) a favore delle armi e di sparare a chiunque ti entrasse in casa. Era stato cresciuto così e se avesse avuto figli maschi, invece che femmine, anche loro sarebbero stati come lui. Angelina sperava che lui non andasse mai in Italia, in quel brutto villaggio, e incontrasse quella nullità d’uomo di Paolo, che aveva privato tutti dell’affetto di sua madre così tardi nella vita. Se suo padre si fosse ammalato di nuovo e fosse stato veramente in punto di morte, in qualche modo sarebbe andato lì, avrebbe cercato quel signor nessuno e gli avrebbe sparato in pubblico, per poi spararsi. 

Tutta quella follia aveva un che d’italiano. 

– Perché pensavi che papà mi avesse aiutato con i soldi per venire qui? – Domandò alla madre mentre, seduta sul letto, si strofinava i capelli bagnati con un asciugamano. 

– È tuo padre. Ribadisco quello che ho detto. – Mary fece un cenno con il capo.

– Ma perché mi doveva aiutare a venire a trovare l’ex moglie che l’ha lasciato nel bel mezzo di un cancro al cervello?

Mary sentì nella testa quella specie di scossa elettrica che indicava una rabbia improvvisa. Si sedette con la schiena contro la testiera del letto. – Non l’ho lasciato quando aveva il cancro al cervello. È questo il punto. Dio Santissimo, ma voi ragazze davvero non lo sapevate? Sono rimasta a prendermi cura di lui e solo quando è migliorato mi sono fatta la mia vita –. E pensava: ora mi viene un altro ictus, signorina, se non la smetti con queste scemenze. Ma Angelina non era una più signorina, aveva due figli quasi pronti ad andarsene di casa e lei voleva essere delicata a causa di ciò che stava passando. Ma Mary era comunque molto arrabbiata. Non le era mai piaciuto esserlo. Non sapeva come comportarsi. – E con Jack come va? – le chiese. – Non l’hai nominato neanche una volta.

Angelina abbassò lo sguardo. Un attimo dopo disse: – Abbiamo passato un brutto periodo. Ci stiamo lavorando. Non abbiamo mai imparato a litigare –. Lanciò un’occhiata infastidita alla madre, poi guardò di nuovo a terra. – Tu e papà non litigavate mai. Cioè, papà urlava e tu lo lasciavi fare. Ma non li chiamerei litigi costruttivi, quelli.

Mary indugiò. La rabbia non l’aveva ancora lasciata e l’aveva resa più acuta. Si sentiva coerente, forte. – Litigi costruttivi… – disse. – Tuo padre ed io non litigavamo in modo costruttivo. Ma ho capito, continua. 

– Non ne voglio parlare –. Angelina stava ancora guardando a terra avvilita. Una bambina di dodici anni che teneva il broncio, anche se Angelina non era mai stata quel tipo. 

– Angelina –. Mary si sentì la voce tremare dalla rabbia. – Ora stammi bene a sentire. Non ti vedo da quattro anni. Le altre sono venute tutte a trovarmi e tu no. Tammy addirittura è venuta due volte. Ora, so che sei arrabbiata con me. E ti capisco –. Mary appoggiò i piedi sul pavimento. – No, aspetta. E invece non ti capisco.

Angelina guardò sua madre, allarmata. – Non ti capisco perché sei un’adulta. Non ti ho lasciata quando eri piccola. Ho fatto tutto quello che potevo e poi… poi mi sono innamorata. Quindi arrabbiati quanto ti pare, ma vorrei, vorrei... – Mary perse tutto il suo rancore; ora stava malissimo. Si sentiva da schifo per l’aspetto di Angelina. – Di’ qualcosa, tesoro, – disse Mary. – Qualunque cosa.

Angelina non disse nulla. A Mary non venne in mente che sua figlia non sapesse cosa dire. Restarono in silenzio per diversi minuti, Angelina a fissare il pavimento e Mary a fissare lei. Alla fine Mary parlò e in modo pacato disse: – Ti ho mai detto che quando eri appena nata e il dottore ti ha messo in braccio a me, ti ho riconosciuta?

Angelina allora la guardò. Scosse piano la testa.

– Non è successo con le altre. Oh, ho voluto subito bene anche a loro, chiaro. Ma con te è stato diverso. Quando il dottore mi ha detto ‘Eccoti tua figlia, Mary’, io ti ho presa e ti ho guardata ed è stata una cosa stranissima, Angelina, perché ho pensato, Oh, sei tu. E non mi sono nemmeno stupita più di tanto. Sembrava la cosa più naturale del mondo, ma davvero ti ho riconosciuta, tesoro. Non so perché, ma è stato così.

Angelina fece il giro del letto e si sedette vicino alla madre. Disse: – In che senso?

– Beh, ti ho guardato e ho pensato — e questo è esattamente quello che ho pensato, tesoro — Oh, sei tu, certo che sei tu. Ecco cos’ho pensato. Ti avevo appena conosciuta, ma più che altro ti ho ri-conosciuta –. Mary toccò i capelli della figlia ancora umidi e profumati di shampoo. – E quando ero incinta, sapevo di aspettare…

– Un angioletto –. Angelina pronunciò queste parole insieme con la madre. Rimasero per un po’ in silenzio, sedute sul bordo del letto, tenendosi per mano. Alla fine Mary disse: – Ti ricordi quanto ti piacevano quei libri sulla bambina della prateria? Che poi la guardavamo anche alla televisione?

– Certo –. Angelina si voltò verso di lei. – Però mi ricordo di più di quando mi mettevi a letto. Ogni sera. Non sopportavo che te ne andassi. Ogni sera dicevo, Non ancora!

Mary disse: – Delle volte ero così stanca che mi sdraiavo accanto a te e non sopportavi che la testa mi finisse più in basso della tua. Te lo ricordi?

Angelina replicò: – Era come se diventassi tu la bambina. Io avevo bisogno che tu fossi l’adulta.

Mary disse: – Lo capisco –. E tacquero di nuovo. Poi Mary, stringendo il polso della figlia, riprese: – Non dire alle tue sorelle che quando sei nata ti ho riconosciuta e loro no... Non mi piacciono i segreti. Ma volevo che tu lo sapessi.

Angelina, tirandosi un po’ più su, disse: – Ma quindi questo vuol dire… –

– Non lo sappiamo cosa vuol dire, – la interruppe la madre. – Non sappiamo niente di cosa vogliono dire le cose del mondo. Ma so cosa sapevo quando ti ho vista. E so che mi hai reso sempre felice. So che sei il mio amato angioletto –. (Non lo disse, ma di sfuggita pensò: E mi hai sempre occupato un gran posto nel cuore, tanto che a volte lo sentivo come un peso).

In cucina, mentre cercavano pentole e padelle e bollivano l’acqua e scaldavano il sugo, Mary era al settimo cielo. La felicità le vibrava dentro: l’avrebbe divorata! Stare in cucina con la figlia, parlare del più e del meno, dei bambini, del lavoro di insegnante di Angelina… ah, era meraviglioso. Accese le lampade nella zona pranzo e mangiarono la pasta e parlarono delle sorelle di Angelina. Dopo un bicchiere di vino, Mary disse: – Accidenti... ma quello che mi hai detto delle sorelle Nicely! Dio mio.

– Oh –. Angelina si pulì la bocca con il tovagliolo. – Lo vuoi sapere un pettegolezzo?

– Ovvio. – rispose Mary.

– Te lo ricordi Charlie Macauley? Dai, devi per forza ricordarti di lui.

– Certo che me lo ricordo. Era alto, un bell’uomo. Poi andò in Vietnam. Cavolo, che tristezza.

– Esatto, lui. Beh, è venuto fuori che frequentava una prostituta a Peoria, mentre alla moglie diceva che andava a un gruppo di sostegno per i reduci. No, ma aspetta… A quanto pare ha regalato diecimila dollari a questa prostituta e quando la moglie l’ha scoperto l’ha buttato fuori di casa.

– Dai!

– Giuro. L’ha buttato fuori. E indovina con chi sta ora? Su, mamma, indovina!

– Angelo mio, ma che ne so?

– Patty Nicely!

– No.

– Sì! Vabbè, non è che lei è venuta a dirmelo direttamente, ma è dimagrita, perché te l’ho detto, no, che era ingrassata e che i ragazzi a scuola la chiamavano Patty Mangiapiatti? Comunque… con Charlie è stata sicuramente mooolto brava, ora sta benissimo e in ogni caso loro erano già amici, più o meno. Ecco qua! – Angelina rivolse alla madre un cenno significativo. – Non si può mai dire.

– Santo Iddio, – esclamò Mary. – Questo sì che è un pettegolezzo stupendo, Angelo mio. Ma davvero i ragazzi a scuola la chiamavano Patty Mangiapiatti? Così, in faccia?

– No, non penso nemmeno che lei lo sappia. Giusto una volta –. Angelina sospirò spingendo indietro il piatto. – Lei è proprio una brava persona.

Quando ebbero finito di mangiare, Mary andò a sedersi sul divano. Picchiettò sul posto accanto al suo e Angelina la raggiunse, portando con sé il bicchiere di vino. – Ascolta, – disse Mary. – Ascolta quello che ti devo dire.

Angelina si tirò su, guardando i piedi di sua madre. Ebbe la sensazione di accorgersi soltanto in quel momento che le caviglie di Mary non fossero più sottili come un tempo.

– Avevi tredici anni. Ero venuta a prenderti in biblioteca. E ti ho urlato contro… – La voce di Mary cominciò improvvisamente a tremare e Angelina la guardò, dicendo: – Mamma… – La madre però scosse la testa e proseguì: – No, tesoro, fammi finire. Voglio solo dirti che ti ho urlato contro, davvero forte, non ho la minima idea del perché, ma urlavo e tu eri spaventata e io urlavo perché avevo scoperto di tuo padre e di Aileen, ma non te l'ho mai detto, fino a… beh, lo sai, un mucchio di tempo dopo, ma il punto, tesoro, è che ti ho impaurito, ti ho urlato e tu avevi paura –. Mary guardò verso la finestra, oltre Angelina, e la sua faccia cambiò espressione. – Mi dispiace tanto. Tantissimo, – disse.

Un attimo dopo, Angelina chiese: – Tutto qui?

Mary la guardò. – Beh, sì, tesoro. Ci sono stata male per anni. 

– Non me lo ricordavo. Non importa –. Ma Angelina pensò che invece lo ricordava e ora dentro di sé piangeva, Mamma, era solo uno stupido, un porco, ma che importa, mamma, per favore, mamma, ti prego, Non te ne andare, mamma! Dopo un po’ Angelina disse: – Mamma è stato tanto tempo fa, quella faccenda con Aileen. È per questo che hai lasciato papà? Perché di sicuro te la sei presa comoda –. Riusciva a percepire il gelo del suo tono di voce. Era come se il vino l’avesse resa nervosa; all’improvviso sentì un senso di freddezza verso sua madre.

– Non ne abbiamo mai parlato per niente, – disse Angelina.

Mary taceva e, quando Angelina la guardò, fu duramente colpita dalla tristezza sul viso della madre, che però le disse, – Dai, tesoro, dimmi. Ora che finalmente sei qui. Dimmi di te. Io te l’ho già detto, mi sono innamorata di Paolo. Io e tuo padre non andavamo d’accordo su tante cose, ma, tesoro, il fatto è che mi sono innamorata. Adesso tocca a te.

Angelina replicò, – Lui è un impiegato di banca, mamma. E questa casa è… – Si guardò intorno. Voleva dire di nuovo ‘squallida’, ma non era proprio così. Era solo che… che non era bella. Ed era strana, con quei soffitti alti e le poltrone con le fodere consumate. 

Sua madre si irrigidì. – Questa casa è bellissima, – disse. – Guarda: ha anche la vista sul mare. Non avremmo mai potuto permettercela se la moglie di Paolo non avesse avuto dei soldi.

– Aveva dei soldi?

– Li ha. Un po’, sì. E lui è come me: arriva dal nulla o quasi. 

Angelina rimase in silenzio. 

Mary continuò, – Il fatto è che sto bene con lui. Sono innamorata e sto davvero bene con lui. La famiglia di tuo padre, come ben sai, aveva i soldi e tuo padre ha avuto una bella carriera. Angelina, dico sul serio: non me ne importa un cavolo del denaro. Anzi, mi piace non averlo. A parte per il fatto che non averlo mi impedisce di vederti.

– Sei tornata alle origini –. Angelina voleva essere sarcastica, ma pensò che fosse sembrato sciocco.

– Mio padre lavorava in una stazione di servizio. Non avevamo niente. Lo sai. Paolo non ha soldi e non ha grandi idee su come farne. Se è questo che intendi con il ritorno alle origini.

Angelina si fissò i piedi distesi davanti; le sue caviglie erano sottili. – Aspetta, però –. Alzò lo sguardo verso la madre. – Ma quindi lui abitava qui con la moglie?

– Esatto. Poi lei ha incontrato un altro e se n’è andata, lasciandogli la casa, e noi siamo contenti di averla.

– Io non ci capisco niente, – concluse Angelina.

– No. Nemmeno io.

Mary prese la mano di sua figlia. E tuttavia ebbe l'improvvisa certezza — quanto era stata stupida a non capirlo prima — che la figlia non l’avrebbe mai perdonata per aver lasciato il padre. Neanche se fosse campata cent’anni. E di certo Mary non sarebbe campata così tanto. Ma quella consapevolezza era terribile, eppure sentì di nuovo quella scossa nella testa: era arrabbiata!

Ti prego.

Angelina disse: – Mamma. Io non voglio che tu muoia. Tutto qui. Mi hai tolto la possibilità di occuparmi di te in vecchiaia, e volevo esserti vicina se morivi, quando morirai. Mamma. Volevo solo questo.

Mary la guardò, quella donna con le rughe agli angoli della bocca.

– Mamma, cerco solo di dirti…

– Io lo so cosa cerchi di dirmi –. E a quel punto Mary doveva andarci cauta. Doveva stare attenta perché quella ragazza-donna era sua figlia. Non poteva dirle — a quella figlia che aveva amato più di ogni altra cosa al mondo — che lei non aveva paura della morte, che era quasi pronta, non del tutto, ma quasi, ed era spaventoso rendersi conto che… che la vita l’aveva consumata, sfinita, che era quasi pronta a morire, e che sarebbe morta, forse tra non molto. C’era sempre quella voglia di aggrapparsi ai pochi anni rimasti, Mary l’aveva visto succedere a tanti, ma per lei non era così, o forse sì, ma invece no. No, si sentiva sfinita, quasi pronta e non poteva raccontarlo a sua figlia. E quel pensiero, oltre tutto, la terrorizzava. Se lo era immaginato, lei a letto in quella stessa stanza mentre Paolo correva su e giù, ed era terrorizzata perché non avrebbe più rivisto le sue ragazze, non avrebbe più rivisto suo marito, cioè il loro padre, quel marito, non avrebbe più rivisto nessuno di loro e questo le incuteva terrore. E alla figlia non poteva certo dire che se avesse saputo quello che le stava facendo, al suo adorato angioletto, forse si sarebbe fermata.

Ma la vita è così! Ed è un casino! Angelina, bambina mia, ti prego…

– Non hai nemmeno preso i soldi che papà ti doveva per il divorzio… in Illinois avresti avuto diritto a dei soldi.

Mary disse: – Ma, tesoro –. Fece una pausa, cercando le parole giuste. Alla fine continuò: – Quando ci si innamora si entra in una specie… — Mary agitò una mano verso l’alto —  di bolla o qualcosa del genere. Si smette di pensare. E poi perché dovrei prendere i suoi soldi? Non ne ho mai guadagnato nemmeno un centesimo.

Angelina pensò, Che scema che sei, mamma.

Mary scosse lentamente la testa e disse, Che scema che sono.

Angelina disse: – Se prendevi quei soldi, potevo venire a trovarti, ecco cosa ci potevi fare.

Mary disse: – Sì, lo capisco. Solo ora.

– E poi perché dici che non li hai mai guadagnati? Hai tirato su cinque figlie, mamma.

Mary annuì. – Mi sono sempre sentita in balìa di tuo padre e della sua famiglia. Come una mantenuta. Avrei dovuto trovarmi un lavoro. Ma perché poi? Non so come tu e Jack gestite i vostri soldi, ma ti dico, Angelina, è un bene che tu abbia sempre lavorato. In una coppia rende le cose più bilanciate.

Angelina disse: – Jack ha intenzione di tornare.

– Se n’era andato? Non lo sapevo –. Mary si tirò indietro per guardare meglio la figlia.

Angelina disse: – Non mi va di parlarne, ma è stata anche colpa mia. Ma torna. Quando sarò di nuovo a casa.

– Ma quindi se n’era andato?

– Sì. E non mi va di parlarne.

Mary però ora era davvero spaventata; il suo angioletto chiacchierino che le aveva sempre raccontato tutto, che lei aveva messo a letto tutte le sere, a cui aveva preparato la vasca da bagno… puff! Era volato via, sparito, sparito. – Tesoro, – disse dopo un attimo, – non sono affari miei, ma c’è di mezzo un’altra donna?

Angelina fissò la madre con un’improvvisa durezza. – Sì –. E subito dopo aggiunse: – Tu.

– In che senso? – chiese Mary.

– Nel senso che l’altra donna eri tu, mamma. Non riuscivo ad accettare che te n’eri andata. Non smettevo mai di parlare di te. E Jack mi ha detto che ero innamorata di mia madre.

– Oh, tesoro. Oh, santo Iddio, – disse Mary.

 – Se n’è andato più di un anno fa e io stavo per venirti a trovare la scorsa estate, ma lui continuava a dirmi che forse tornava e allora sono rimasta a casa, ma ora sta davvero per tornare.

Angelina lasciò che sua madre l'abbracciasse e pianse sul suo petto. Pianse per molto tempo. Ogni tanto emetteva dei suoni così dolorosi che Mary se ne sentì come distaccata. Alla fine Angelina alzò la testa, si asciugò il naso e disse: – Ora mi sento meglio.

Sedettero vicine sul divano per diversi minuti e il braccio di Mary era stretto intorno alla sua bimba. Poi le passò l’altra mano su una gamba e disse: – Sai che appena ti ho vista con questi jeans ho pensato che tu avessi una storia?

Angelina si tirò su. – Cosa? – disse.

– Ma non sapevo che ce l’avessi con me.

– Mamma, ma di cosa parli?

Mary disse: – Insomma, tesoro, questi jeans sono parecchio attillati per una donna della tua età, così ho pensato… sai com’è, magari…

Angelina scoppiò a ridere, nonostante avesse il viso ancora umido di pianto. – Mamma, ho comprato questi jeans apposta per il viaggio. Pensavo che le donne in Italia portassero… sì, che portassero roba sexy.

– Ah, ma quei jeans sono sexy, – disse Mary, anche se in realtà non lo pensava.

– Non ti piacciono? – Angelina parve sul punto di piangere di nuovo.

– Ma certo che sì, tesoro.

E a quel punto Angelina — oh, che Dio la benedica — cominciò a ridere sul serio. – Beh, a me no. Con questi addosso mi sento un’idiota. Ma li ho comprati apposta, così avresti pensato che sono, sai, sofisticata, o qualcosa del genere –. Poi aggiunse: – Come nel mio costume intero! –

E risero fino alle lacrime e continuarono a ridere. Ma Mary pensò: Niente dura per sempre, ma spero che Angelina porti con sé questo momento per il resto della vita.

Mary disse che andava a sedersi nello spiazzo vicino alla chiesa per fumare la sua sigaretta serale. In realtà non aveva più fumato da quando si era trasferita lì. All’uomo del negozio aveva detto che le sigarette erano per sua figlia. 

– Ok, mamma, – disse Angelina, mentre la madre andò a prendere la borsa di pelle gialla. Dopo pochi minuti, Angelina si affacciò alla finestra e vide che sua madre era seduta su una panchina da cui si poteva vedere il paese e anche il mare. Era sotto un lampione e Angelina riusciva solo a distinguere che aveva gli auricolari nelle orecchie e che muoveva la testa lentamente su e giù e che teneva una sigaretta tra le dita. Poi vide una donna andarle incontro e capì che doveva essere Valeria. Come sembrava felice, sua madre, di vederla! Si alzò in piedi e lei e quella donna minuta si scambiarono un bacio prima su una guancia e poi sull’altra e Angelina vide che sua madre gesticolava. Ad un certo punto allungò la sigaretta verso l’amica ed entrambe risero. Poi la donna piccola si sollevò leggermente sulle punte e si baciarono di nuovo sulle guance. La donna se ne andò e la madre di Angelina tornò a sedersi. Rimase lì, sulla panchina, e fece ancora un paio di lunghi tiri, poi schiacciò la sigaretta per terra, ma raccolse il mozzicone e lo mise con cura in un sacchettino di plastica che aveva tirato fuori dalla borsa.

Angelina non riusciva a smettere di fissare la madre, seduta lì, tranquilla, a guardare il mare. Poi la vide alzarsi di scatto e dirigersi verso la strada. Un anziano attraversava, barcollando; non sembrava ubriaco, ma solo acciaccato per l’età. Per Angelina fu sorprendente la velocità con cui sua madre si incamminò verso di lui; alla luce del lampione Angelina vide il viso dell’anziano e non la colpì solo il modo in cui sorrise a sua madre, ma anche l’umanità della sua espressione, il calore e l’intensità della sua gratitudine. E mentre sua madre lo aiutava ad attraversare, Angelina vide per un attimo anche il volto di lei illuminato. Forse era l’angolazione della luce, ma il viso di Mary ebbe una momentanea brillantezza, proprio mentre Angelina vide la madre prendere la mano dell’uomo ed aiutarlo ad attraversare. E quando arrivarono dall’altra parte, sembrava che parlassero tra di loro, poi lei fece un cenno e l’uomo proseguì sul marciapiede. Angelina pensò, Ora tornerà qui a casa. 

E invece sua madre si sedette di nuovo sulla panchina; si infilò gli auricolari e la testa cominciò a muoversi su e giù al ritmo di quello che ascoltava sul telefono; doveva essere una canzone di Elvis. Era di fronte al mare e sembrava contemplare le barche in lontananza con le luci accese. 

La madre le aveva letto tutti i libri della bambina della prateria e, ogni volta che c’era il telefilm, lo guardavano insieme, rannicchiate sul divano. La madre aveva raccontato ad Angelina di come quelli avessero ucciso gli indiani e avessero rubato la loro terra. Suo padre aveva detto che se lo meritavano, ma sua madre le aveva detto che non era vero, ma che ormai era andata così. La gente si spostava continuamente, aveva detto la madre, è il modello americano. Spostarsi verso ovest, spostarsi verso sud, sposarsi al di sopra delle proprie origini, sposarsi al di sotto, divorziare, ma comunque spostarsi.

Sua madre l'aveva riconosciuta subito quando era nata…

– Va bene, mamma, – mormorò Angelina. Si allontanò dalla finestra e andò in camera a prendere il computer, ma invece si sedette sul letto, guardandosi intorno, su quel letto che la madre divideva con un uomo di nome Paolo.

Per diciotto anni sua madre l’aveva messa a letto. Non andare ancora via, diceva Angelina, non ancora! Il padre dalla porta diceva, Notte, Lina, ora dormi. Angelina fissò il mare attraverso la finestra; era buio e le navi avevano acceso le luci. Sentì sua madre salire le scale. E seppe, Angelina seppe di aver visto qualcosa di importante quando lei aveva aiutato quell’uomo malfermo ad attraversare la strada. Solo per poco — e solo per poco, Angelina lo sapeva, sapeva che lei sarebbe sempre stata la figlia —, ma per poco era stata buttata giù una parete; rivide l’immagine della rapida e generosa dolcezza di sua madre verso quell’uomo in strada. La strada di un paesino sulla costa italiana, sua madre, una pioniera. 

 *

Testo tradotto da Livio D'Alessio, Valeria Ebana e Mariasole Mugnano nell’ambito del

laboratorio online di traduzione dall’inglese tenuto da Elena Campani.

Introduzione di Valeria Ebana.