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Charif-Majdalani

Charif Majdalani nasce a Beirut nel 1960, dopo gli studi in Lettere all’Università di Aix-en-Provence torna in Libano, dove diventa prima professore di Lettere e poi responsabile del dipartimento di Lettere francesi all’Université Saint-Joseph di Beirut. Dal 2012 è presidente della Maison internationale des écrivains a Beirut. Parallelamente all’attività di insegnante, scrive per giornali francesi e libanesi, ma è soprattutto per la sua attività di romanziere che è conosciuto.

Debutta nel 2005 con Histoire de la Grande Maison, la cui traduzione italiana è edita da Giunti, col titolo La casa nel giardino degli aranci (2010); seguono Caravansérail (2007); Nos si brèves années de gloire (2012); Le Dernier Seigneur de Marsad (2013); Villa des femmes (2015), la cui traduzione italiana, La villa delle donne, è in uscita questa settimana per Astarte Edizioni, L’empereur à pied (2017) e nel 2019 Des vies possibles.

Il Libano, con i suoi colori, i suoi profumi e le sue ferite è al centro delle sue opere: un macrocosmo in movimento dal percorso mai prestabilito, che si riflette nelle sorti del microcosmo dei personaggi e delle famiglie che lo abitano, tutti profondamente legati agli eventi che hanno segnato il Paese nel corso del tempo.

Non fa eccezione La villa delle donne, storia di rivincita e di sfida a un sistema patriarcale che, in una fase di profondi e violenti stravolgimenti causati dalla guerra civile che insanguinò il Paese tra il 1975 e il 1990, vede lentamente disgregare le proprie fondamenta. Le figure maschili della storia, dominanti e artefici dell’esistenza di quel mondo, vengono a mancare una dopo l’altra. Le tre donne della famiglia rimaste, diventeranno le uniche protagoniste: non iconiche paladine della giustizia, ma anime ferite, con le loro fragilità e i loro difetti, anche i più meschini, che in un lungo percorso di crescita provano a riscrivere, o meglio scrivere di loro pugno per la prima volta, il ruolo che la società aveva scelto per loro. Luogo metaforico di questa lotta è la loro dimora, la grande villa attaccata su più fronti perché sulla linea di confine tra le fazioni che si combattono, dove restano sole a fronteggiare le minacce esterne così come i fantasmi del passato.

A sostenerle è l’unico uomo rimasto, Noula, il fedele autista di famiglia e voce narrante del romanzo, capace di riempire i vuoti con la sua immaginazione e trasportare il lettore nella quotidianità della famiglia, diventando così il testimone involontario di una rivoluzione che per troppo tempo non era stata creduta possibile.

La storia di queste anime trova piena espressione nella lingua dell’autore, cresciuto in una famiglia bilingue che considera il francese la sua «lingua materna», sposa dell’arabo, «lingua paterna». Scrive infatti in francese, ma l’arabo resta comunque una presenza discreta sulla pagina, luogo d’incontro tra varie identità che si fondono in una storia comune, restituita attraverso una scrittura sfumata, che conferisce allo stile di questo autore la sua originale e irripetibile personalità.

Articolo di Ilaria Sansone