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Lo studio della cultura materiale permette, per quanto riguarda i manufatti artistici, di superare il loro apprezzamento puramente estetico e percepirli come “cosa viva”. Così gli oggetti ci parlano e raccontano talvolta storie affascinanti, oggetti di ieri ci parlano del mondo di oggi.

Quello della comunità ebraica livornese è un patrimonio eterogeneo, che riflette la varia provenienza degli ebrei livornesi e i loro legami internazionali, reso tuttavia estremamente lacunoso dalle vicende storiche che ne hanno progressivamente determinato il depauperamento, specialmente da partire dalla fine del Settecento, quando i materiali preziosi vennero requisiti dalle truppe napoleoniche. L’ultimo episodio in ordine cronologico è rappresentato senza dubbio dalla distruzione del Vecchio Tempio seicentesco, colpito da uno dei tanti bombardamenti operati sulla città di Livorno: dalle macerie vennero razziati la maggior parte degli argenti antichi rimasti, che, nel disperato tentativo di salvarli, erano stati murati in una nicchia nel muro, inevitabilmente portata alla luce dall’esplosione.

Fra gli oggetti novecenteschi rimasti si distingue una mezuzà, un piccolo astuccio metallico contenente una pergamena su cui sono riportati dei passi biblici (tipicamente dal Deuteronomio), che viene affisso nei vani delle porte nelle dimore e nei luoghi ebraici per ricordare agli abitanti (e ai loro ospiti) il proprio credo e sostenere l’osservanza dei comandamenti, simboleggiando l’occhio vigilante di Dio sulla casa e tutto ciò che contiene. È facile cogliere il legame fra la mezuzà e il segno di sangue posto sullo stipite delle case degli Ebrei in Egitto, comandato a Mosè per distinguere queste case da quelle egizie poi colpite da Dio e dagli angeli con la morte dei primogeniti, l’ultima delle dieci piaghe.

È usanza che chi entra in casa tocchi la mezuzà con le dita e baci le dita stesse, in segno di rispetto per la Torah di cui contiene passi.

.בָּרוּךְ אַתָּה י*י אֱ*לֹהֵינוּ מֶלֶךְ הָעוֹלָם, אֲשֶׁר קִדְּשַׁנוּ בְּמִצְוֹתָיו וְצִוָנוּ לִקְבּוֹעַ מְזוּזָה

Traslitterazione: Baruch Atah A-donai E-loheinu Melekh haOlam, asher kidshanu bemitzvotav vetzivanu likboa mezuzah.

Traduzione italiana: "Sii Tu Benedetto Signore nostro Dio Re del Mondo che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai comandato di affiggere la mezuzah."

Priva per il resto di un particolare valore artistico, questa mezuzà d’argento si rimarca per la presenza di un’iscrizione a rilievo e in lettere capitali “Made in Palestine-Jerusalem” che dichiara la sua realizzazione in un momento-chiave della storia di questa regione, al tempo del mandato britannico della Palestina.

La storia che questa mezuzà ci racconta è quella della Palestina nel secondo quarto del Novecento. Nel 1920, dopo la sconfitta dell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale, l’Inghilterra aveva impostato il proprio controllo della regione su premesse inconciliabili: da una parte aveva promesso agli Arabi, in modo formale, il riconoscimento della loro indipendenza al termine del conflitto mondiale, dall’altra aveva assicurato agli Ebrei la creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina. Nessuno dei due popoli, ovviamente, era disposto a rinunciare alle promesse che gli erano state fatte, e l’Inghilterra si rivelò incapace di uscire dall’impasse. Alla viglia della fine del mandato, il 15 maggio 1948, il Consiglio Nazionale Sionista riunito a Tel Aviv dichiarò costituito nella terra storica di Israele lo Stato ebraico, col nome di Medinat Yisrael. Questo evento diede inevitabilmente e ufficialmente inizio le ostilità con gli Arabi palestinesi.

Articolo di Anita Paolicchi