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scavi Tell el Dab’a

All’improvviso dalle regioni d’Oriente un’oscura razza di invasori si mise in marcia contro il nostro paese sicura della vittoria (…) bruciarono spietatamente le nostre città, rasero al suolo i templi degli dèi e rivolsero la loro crudeltà contro gli abitanti, massacrandone alcuni, riducendo in schiavitù le mogli e i figli di altri.

Gli Hyksos

Sono parole di violenza quelle che lo storico egiziano Manetone (III secolo a.C.) scelse di utilizzare per narrare la conquista dell’Egitto da parte di una misteriosa stirpe di origine levantina: gli Hyksos, “i principi delle terre straniere”, che governarono tra il 1650 e il 1550 a.C.

Per molti anni questa interpretazione ha dominato le pagine dei libri di storia: gli egittologi liquidavano gli Hyksos come un disgraziato accidente, una parentesi all’interno della storia egiziana poi conclusasi con la loro cacciata. Perché, si sa, gli stranieri sono meschini, fanno paura e sono capaci di portare con sé solo devastazione.

Possiamo scegliere se fare nostra questa considerazione o se ascoltare una storia differente raccontata direttamente dalla scienza archeologica. A partire dagli anni Sessanta gli archeologi della Scuola Austriaca iniziarono a indagare il sito di Tell el-Dabՙa, nel nord dell’Egitto, e compresero che si trattava dell’antica capitale degli Hyksos: ma a dispetto di quanto raccontavano le fonti non vi era nulla che confermasse l’arrivo di questi barbari invasori.

In realtà il sito era abitato da almeno tre secoli prima dell’ascesa degli Hyksos e a giudicare dalle evidenze archeologiche le famiglie egiziane vivevano a stretto contatto con comunità asiatiche che si erano trasferite in Egitto alla ricerca di condizioni di vita migliori. Più che di invasione sarebbe opportuno parlare di lenta migrazione: probabilmente i primi “stranieri” prestarono servizio per la corona come carpentieri, artigiani e soprattutto come mercanti perché avevano il vantaggio di conoscere le lingue orientali e i percorsi verso la Palestina e il Levante. Con il tempo alcune di queste famiglie acquisirono potere e, in modo ancora poco chiaro, riuscirono a strappare ai “legittimi faraoni” il controllo del paese, almeno nel nord dell’Egitto.  

Manfred Bietak, direttore degli scavi a Tell el-Dab'a
Manfred Bietak, direttore degli scavi a Tell el-Dab'a

Come è stato possibile ricostruire questa versione alternativa della storia? Attraverso le evidenze materiali, che in questo caso sono più fedeli alla realtà delle fonti scritte. In archeologia non è mai semplice parlare di fenomeni migratori perché le fonti a disposizione sono parziali e di difficile interpretazione, ma la presenza di elementi culturali diversi da quelli tipici di una determinata regione permettono di ipotizzarli. Per esempio, le pratiche funerarie attestate a Tell el-Dabՙa sono totalmente differenti da quelle tipiche della valle: gli egiziani seppellivano i defunti al di fuori dei centri abitati, in posizione supina e con elementi del corredo tipici della produzione artistica nilotica (scarabei, vasi in pietra e specchi). Gli asiatici, invece, avevano sepolture all’interno degli insediamenti e deponevano i morti in posizione semi-contratta, talvolta insieme ad asini e con oggetti riconducibili alla cultura siro-palestinese dell’epoca (armi, spilloni per vesti, particolari ceramiche). A Tell el-Dabՙa vi erano anche templi e abitazioni che ricordavano nella planimetria quelli orientali.

In conclusione, sembra che gli egiziani di Tell el-Dabՙa convivessero pacificamente con gli stranieri che si erano stanziati nel sito e sicuramente entrambe le parti trassero importanti benefici dalla reciproca interazione. Con buona pace di Manetone, «quest’oscura razza di invasori» si è rivelata essere un arricchimento per gli egiziani e un prezioso insegnamento per noi uomini moderni: lo straniero non è una minaccia, ma un’occasione per ampliare la nostra conoscenza.  

Articolo di Martina Betti