In occasione dell’uscita della raccolta In disparte e altre poesie, tradotta dall’arabo da Sana Darghmouni, l’autore, il poeta marocchino Hassan Najmi, risponde ad alcune domande.
Le rive ci separano.
Non capisco più questo oceano.
Le parole non mi vengono più come prima.
Come se la poesia avesse litigato con me.(Da "Sole spensierato")
Da dove nasce l’ispirazione principale per la sua poesia?
La poesia sboccia da un istante, da un’immagine, da un’idea o anche da una sola parola…da un paesaggio, da un volto o da un ricordo. Una goccia di acqua che trabocca o un raggio che si espande. È per questo che nella mia poesia si ripetono temi inerenti alla sua nascita e al suo divenire. È come se la poesia arrivasse in forma di dettato: qualcuno o qualcosa ti detta la tua poesia, e lei esce da dentro di te, dalla tua interazione con l’ambiente circostante, dal tuo corpo e dal tuo essere. Borges ha ragione quando dice che “la poesia è un dettato.” Essendo stato colpito dalla cecità era costretto a dettare a sua madre, alla sua compagna ma anche ad amici le poesie e le storie che pensava e che scriveva dentro di sé. Ma credo che Borges intendesse anche un altro dettato, quello metafisico, quello che precede il dettare i propri testi. Mi riferisco a quella scrittura corporea che svolgiamo dentro il nostro essere, con tutte le sue lettere, e tutte le modifiche visibili e invisibili che facciamo. Parlo di tutto quello che precede il momento in cui diamo alla poesia una forma scritta, il momento in cui mettiamo nero su bianco.
Nella sua essenza, la scrittura è un’avventura e un viaggio nell’ignoto. La scrittura è il prodotto del senso di stupore e di sorpresa che il poeta ha nei confronti della lingua e delle cose attorno a sé. Se non siamo meravigliati, non scriviamo. Credo che il grande poeta debba essere sempre stupefatto: deve rimanere colpito dall’effetto delle parole, dall’eccitazione che provoca la lingua e dall’esistenza stessa; deve meravigliarsi della pioggia, della primavera, del sole, della neve, dell’acqua, del fuoco, della terra, degli alberi… e di tutto. La poesia è figlia dello stupore.
Ho dato un’occhiata veloce alle tue mani. Splendevano nell’angolo oscuro. Al tuo volto. Il tuo sole assunse le rughe e divenne segreto. E il tuo silenzio - il silenzio profondo, strano e giusto che aveva accompagnato lo stupore delle mie poesie. Ho iniziato a trovarlo in ogni parola che innesto nel sangue e che estraggo dal mio corpo come un granello di luce
Ritsos, amico mio –
Anche quando gli altri gridano, io rimango come la coscienza della tua poesia:
“Sollevo il mio silenzio in alto”!
(Da “Ghiannis Ritsos”)
In che misura ritiene la sua poesia “impegnata”? Quanto hanno in comune arte e realtà?
Innanzitutto, la poesia ha bisogno di impegnarsi con lo spirito della scrittura e del suo messaggio. Il concetto di “impegno” mi terrorizza a causa del mio forte timore per la poesia e per la sua fragilità. La poesia non può sostituire l’azione concreta nel cuore della società, e da qui si può affermare che la forza della poesia sta nella sua sensibilità, nel suo isolamento e nel suo essere riservata.
Il mio impegno politico, ad esempio, non deve gettare ombra sulla mia poesia, altrimenti si rischia di rovinare il processo creativo ed estetico. Più il discorso politico e ideologico si avvicinano alla poesia, più lei trema e si brucia. Quando leggiamo di grandi poeti che hanno partecipato nelle lotte e nell’impegno politico, sono loro stessi ad affermare di come la poesia non deve diventare “una tessera di partito.” Pensi alle opere di Lorca, Neruda, Éluard, Majakovskij, Aragon, Ritsos, Mahmud Darwish e, ovviamente, ai poeti italiani che hanno lottato contro il fascismo e che erano simboli della sinistra italiana… sono tanti.
Questo non significa che la poesia per essere bella e avere successo debba astrarsi dalla realtà. Il legame fra poesia e realtà è dialettico ed estetico, e non consiste nel copiare la realtà, riprodurla, o far sì che la realtà si rispecchi nella scrittura. La poesia non è lo specchio della realtà, la supera, va aldilà….
Il poeta vive la realtà come tutte le persone in qualità di uomo, cittadino e intellettuale; di conseguenza, i suoi impegni politici assumono le caratteristiche di cittadinanza e di partecipazione civile e sociale, compie i suoi doveri, paga le sue imposte, e rispetta le leggi come tutti gli altri. E quando giunge il suo dovere poetico, mette tutti questi dettagli da una parte, e si accontenta dello spirito della poesia, delle sue necessità e del ritmo che si sprigiona dai suoi versi.
Forse dobbiamo ricordare in questo contesto ciò che ha detto Nietzsche, “abbiamo l’arte per non perire a causa della verità”.
In che modo pensa che la sua poesia si sia evoluta negli anni?
Credo che la mia poesia continui ancora a cambiare proprio perché anch’io cambio continuamente grazie a tutte le esperienze fatte in Marocco ma anche nel mondo. Mi accorgo di cambiare ogni volta che partecipo a un festival internazionale di poesia, mi trasformo attraverso i poeti e le poetesse che incontro, le opere a cui mi avvicino, e le geopoetiche che conosco da vicino… Tutto questo aiuta un poeta a sviluppare l’esperienza estetica e tecnica. Così come anche il buon lettore, il lettore che interagisce, sviluppa la coscienza del poeta in sé, della scrittura e della lingua poetica. Il legame tra la poesia e il trasformarsi è un legame magico perché è un legame che si ha con il tempo. L’importante è cambiare in meglio, nel profondo e in ciò che è bello; non bisogna invecchiare in brutto modo e con noi far invecchiare le nostre poesie!
È opinione diffusa che la poesia sia da sempre uno dei generi meno letti e amati dal pubblico. Da poeta e scrittore, condivide questo pensiero? La poesia è davvero di così difficile comprensione, come molti ritengono?
Dobbiamo accettare la condizione poetica nel mondo contemporaneo così com’è. Come un’arte tra le altre arti, e non un’arte di massa. Tante volte i poeti vengono letti solo da poeti, come se avessero cominciato a scriversi gli uni con gli altri. Il poeta non è un calciatore, né un cantante o un attore che ha bisogno del pubblico. Il poeta non è nemmeno un leader politico, non ha bisogno di sostenitori che gli corrono dietro o che lo circondano di applausi. Il poeta ha bisogno di un lettore, un buon lettore solidale con le parole e sensibile alla lingua, un lettore calmo, silenzioso, dolce e in disparte. L’idea del pubblico e della folla è un’idea politica. L’idea stessa di folla è solo un’illusione. La poesia viene scritta dal poeta prima di tutto per sé stesso e per quei lettori che gli assomigliano e che si trovano in e con lui.
Chi accusa la poesia contemporanea di ambiguità ignora il significato della poesia e non conosce la storia della poesia, il primo canto dell’umanità. Cosa sanno dell’antica poesia greca e romana, dell’antica poesia cinese o giapponese, della poesia araba preislamica? Credo che lo stereotipo che la scuola ha inculcato nella maggior parte dei lettori li spinga a cercare i testi scolastici in tutti i testi che incontrano, mentre la lettura deve essere una scoperta continua degli stili, delle visioni e delle esperienze, delle voci e delle diverse generazioni poetiche.
Ad un antico poeta arabo (Abu Tammàm), un giorno venne rivolta questa domanda: “perché dici ciò che non si capisce?” e lui rispose: “e perché non capite ciò che viene detto?”.
Si dice anche che Pitagora avesse attaccato sulla porta del locale dove insegnava la scritta: “chi di voi non è ingegnere [ovvero che capisce l’ingegneria e la matematica] non entri qua!”.
Arabo e italiano sono due lingue completamente diverse: quale aspetto della sua poesia vorrebbe che non venisse assolutamente perso nella restituzione al lettore italiano?
Amo l’idea di un legame, invece di una differenza tra le due lingue, a livello culturale, linguistico, umano e poetico. Come poeta, sono invaso da riferimenti poetici e narrativi italiani. L’idea di perdere nella traduzione alcuni aspetti delle mie poesie è un’idea che mi preoccupa, ma è una realtà dalla quale non si può sfuggire. Quando venne chiesto al poeta americano Robert Frost il significato che aveva per lui ha la poesia, Frost rispose che la poesia è ciò che perdiamo nella traduzione! La verità è che le buone traduzioni sono quelle che riescono a conservare un certo rispetto intrinseco alla poesia, le sue qualità e il suo senso poetico. Il buon traduttore di poesie sa dove si trova la poeticità nel testo, e quindi non lo elimina per lasciare la poesia sbandare in una nuova lingua.
Quanto è importante, secondo lei, che la poesia (ma anche la letteratura) marocchina trovi un suo spazio in Italia? Perché?
La poesia marocchina e araba dovrebbero avere uno spazio importante nella scena letteraria e culturale italiana; la questione è prima di tutto civile, culturale e anche umana. Esiste una vicinanza mediterranea, una vicinanza geografica tra il Marocco e l’Italia che non possiamo e dobbiamo ignorare; c’è anche una vicinanza storica, benché complessa, tra il nord Africa e l’Impero Romano. In Marocco abbiamo ancora monumenti, lapidi, siti e testimonianze archeologiche romani di cui rimaniamo fieri.
L’Italia è presente nella storia del Marocco e nella memoria marocchina, ma è anche presente nel presente per quanto riguarda l’immigrazione italiana verso il Marocco durante il periodo coloniale, e per la migrazione marocchina in Italia. Quanti miei connazionali sono oramai bilingue e legati tanto all’Italia quanto al Marocco? È partendo da una lunga storia di scambi tra l’Italia e il Marocco che la poesia marocchina può trovare il suo posto in Italia.
Spero che la traduzione della poesia e del romanzo marocchino e, in un certo senso, del pensiero marocchino, possa incoraggiare un dialogo creativo libero di una retorica politica che sembra impedirci di conoscerci. Spero che gli italiani che ancora non conoscono i nostri versi e le nostre rime possano capire il Marocco, il suo ruolo all’interno del mediterraneo, la sua civiltà, cultura, storia e il suo popolo.
In veste di intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, quali sono i mezzi e le attività più efficaci per promuovere i rapporti culturali tra Marocco e Italia?
Non c’è dubbio che la cultura del dialogo e dell’ascolto reciproco sia l’unica lingua possibile per rafforzare i legami culturali tra l’Italia e il Marocco. Ma oltre al ruolo delle istituzioni ufficiali, bisogna anche far leva sul ruolo delle università e dei componenti della società civile nei due paesi, così come sulle élite intellettuali, culturali, artistiche e letterarie. La traduzione rimane un meccanismo “civile” centrale per facilitare e approfondire questo dialogo reciproco, nel suo duplice senso e nel suo senso mediterraneo, africano e arabo.
(Intervista a cura di Chiara Mazzanti, si ringrazia Sana Darghmouni per la traduzione)