Quando nei primi mesi del 2015 le milizie dell’ISIS si stavano avvicinando a Palmira, nel cuore della Siria, gli archeologi di questo splendido sito si apprestavano a nascondere le antiche opere d’arte, per cercare di metterle in salvo. A partire dal mese di maggio, infatti, la furia distruttiva delle milizie di Daesh si abbatté sulle rovine di quella che anticamente era stata una delle più importanti città siriane, chiamata in aramaico palmireno Tadmor “palma”.
A luglio i militanti jihadisti, al fine di ottenere informazioni sul luogo in cui erano stati nascosti i manufatti più preziosi, catturano Khaled al-Asaad, archeologo siriano che per oltre quarant’anni – dal 1963 alla pensione – aveva ricoperto il ruolo di direttore del sito di Palmira.
Pur avendo più di ottant’anni, al-Asaad resistette a settimane di torture senza rivelare alcuna informazione, fino al 18 agosto, quando gli jihadisti lo trascinarono al centro dell’anfiteatro di Palmira e lo decapitarono.
Solo poche ore fa, ha cominciato a circolare la notizia del ritrovamento dei suoi resti fra le sabbie del deserto, nella zona di Kahloul, 10 chilometri a Est di Palmira, oltre cinque anni dopo la sua morte.

Vogliamo quindi cogliere l’occasione di ricordarlo e onorare il suo impegno nella salvaguardia del patrimonio storico-archeologico siriano, impegno che ha segnato tutta la sua esistenza. Al-Asaad ha infatti dedicato tutto il suo lavoro alla “perla del deserto”, facendosi apprezzare a livello internazionale per il suo impegno pionieristico nel campo dell’archeologia in Siria e contribuendo al riconoscimento da parte dell’UNESCO di Palmira come Patrimonio dell’umanità.