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Si è da poco conclusa la prima edizione di Hybrida-Jeunes (Giornata Internazionale di Giovani Ricercatori e Ricercatrici sulle Ibridazioni Culturali e le Identità Migranti) organizzata dal gruppo di ricerca Hybrida, impegnato nell’esplorazione di forme attuali di creazione artistica e letteraria che hanno come motore nuove identità legate a processi migratori e post-coloniali.

L’evento ha avuto luogo presso la Facoltà di Filologia, Traduzione e Comunicazione dell’Università di Valencia nei giorni di giovedì 21 e venerdì 22 ottobre, ma grazie al collegamento online si è potuto assistere a interventi e dibattiti di numerosi studiosi provenienti da paesi diversi (Spagna, Marocco, Francia, Costa d’Avorio, Algeria, Congo e Bulgaria).

Dei molti interessanti seminari che si sono susseguiti nelle due giornate, uno, della studentessa dell’Università di Siviglia Fátima Contreras, è stato dedicato all’analisi dei personaggi del lungometraggio Un divano a Tunisi. L’obiettivo della presentazione intitolata Le voci silenziose della Tunisia nel film di Manele Labidi: Un divano a Tunisi (2019) era quello di analizzare i personaggi del film al fine di ricostruirne le identità, rappresentative delle molte facce della Tunisia post rivoluzione.

La protagonista Selma, psicanalista di 35 anni, e i suoi pazienti fanno infatti emergere quelli che sono i problemi della società tunisina di oggi: crisi politica, condizione degli omosessuali e sessualità femminile.

Un divano a Tunisi

La storia ruota attorno a Selma, giovane donna forte, libera, indipendente, è celibe, fumatrice, con tatuaggi, veste con camice maschili e pantaloni, non indossa il velo e parla meglio il francese che l’arabo. Dopo aver lavorato per un po’ a Parigi, decide di tornare a Tunisi, sua città d’origine, per aprire uno studio psichiatrico in quanto sostiene che ci sia più bisogno lì di uno psicanalista che in Francia.

Nonostante l’iniziale diffidenza e scetticismo con cui l’intera popolazione e i familiari accolgono questo suo progetto, Selma riesce comunque ad avere sempre più pazienti. Selma intende infatti sollevare il morale dei suoi connazionali dopo lo shock della Rivoluzione dei Gelsomini, durata 4 settimane tra dicembre 2010 e gennaio 2011, e la caduta del vecchio regime di Ben Ali.

Le prime sedute sono molto movimentate, in più si trova di fronte a problemi burocratici e amministrativi difficili da risolvere. La polizia le chiede dei documenti per farla continuare ad esercitare, ma la verità è che la considerano un’estranea. Selma è costretta a scontrarsi contro un Paese che non la riconosce più come membro di quella comunità: celibe e senza figli mentre ora si ritrova in un mondo dove le donne sono emancipate e il desiderio di ogni giovane ragazza è quello di sposarsi. Anche i suoi eccentrici pazienti non riescono a comprenderla: nonostante le tradizioni ben radicate, emerge in loro una certa ammirazione verso la Francia, un Paese che sa di speranza e di libertà, proprio per questo non riescono a capire perché lei abbia voluto intraprendere il viaggio inverso: dalla Francia alla Tunisia.

Ogni personaggio o paziente rappresenta e dà voce a un particolare problema sulla società tunisina: Raouf è l’esempio perfetto del post-trauma della Rivoluzione, nega la sua omosessualità, prova terrore e ha crisi isteriche a causa dello spionaggio della polizia e della violenza subita durante la rivoluzione. L’ispettore Naïm prova a lottare contro la corruzione della polizia. Ogni personaggio rappresenta l’archetipo della società tunisina e il lavoro di Selma li aiuterà nella ricerca della libertà e della stabilità in un Paese dal futuro ancora incerto.

Un divano a Tunisi traccia così il ritratto di una popolazione in bilico tra tradizione e modernità.

Articolo di Samantha Bucalossi