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São ladrilhas da saudade / vestida de azul e branco. ‘Sono mattonelle di nostalgia / vestita di blu e di bianco’. È con questa delicatezza che il portoghese Ary do Santos apre il suo Fado dos Azulejos, condensando in una sola coppia di versi due pilastri della cultura lusitana, la saudade (banalmente tradotta con ‘nostalgia’) e gli azulejos.

Se della prima risulta impossibile scrivere, a meno che non si sia provato sulla propria pelle questo sentimento di cui i portoghesi sono, a buon diritto, gelosissimi, sulla storia delle mattonelle smaltate che ricoprono gran parte degli edifici del suolo portoghese c’è invece molto da raccontare, perché parte da molto lontano e accomuna tanti popoli diversi.

Infatti, nonostante a oggi vengano riconosciuti nel mondo come la più importante espressione artistica portoghese, il viaggio degli azulejos ha origini remotissime. Sembra avere inizio in Antico Egitto, nella regione della Mesopotamia, da cui poi, grazie all’espansione araba, raggiunge l’Africa settentrionale. Questo spiega l’etimo arabo del termine ‘azulejo’, al-zulayj, ovvero “pietra lucidata”, erroneamente ricondotto alla parola azul che significa “blu” per portoghesi e spagnoli.

Attorno al XIV secolo, l’azulejo riprende il suo viaggio. Sono sempre i mori che, mirando alla conquista della penisola iberica, permettono alla mattonella di attraversare il Mediterraneo e di diffondersi in Spagna, in particolare in Andalusia, a Siviglia, ma anche più a nord, a Toledo e Saragozza. Gli edifici di queste città diventano il supporto di raffinatissime composizioni di azulejos in stile mudéjar (frutto della convivenza e della combinazione di elementi artistici ispanici e moreschi) che sbalordiranno il re Manuel I di Portogallo, in visita in Spagna, nel 1498. Di ritorno nel suo regno, il sovrano ordinerà di adottare quello stesso stile per rivestire le pareti della sua residenza in costruzione, l’attuale Palácio Nacional di Sintra, portando così gli azulejos a destinazione, lungo le sponde della costa atlantica.

Nel corso dei secoli, l’azulejo assume funzioni, aspetti e nomi diversi, esposto alle incursioni tecniche di ogni territorio con cui entra in contatto. Uno fra tutti l’Italia, in special modo la Toscana che, già fra il XII e il XIII secolo, rappresenta insieme all'adiacente zona di Orvieto un grande centro di produzione di maioliche. Lo stesso termine ‘maiolica’ conferma la reciproca influenza artistica tra l’Italia e la penisola iberica. Sembra infatti che la sua origine sia spagnola e che risalga all’epoca in cui Pisa, all’inizio del XII secolo, conquistò l’isola di Maiorca, convertendola nel più importante centro europeo di artigianato in ceramica, in un’epoca in cui Faenza non ne deteneva ancora la supremazia. Bisognerà però attendere il Rinascimento per assistere alla definitiva diffusione in Spagna e in Portogallo della tecnica pittorica specifica delle maioliche, grazie all’italiano Francesco Nicoloso (Niculosus Pisanus), che tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo esporterà questa tecnica a Siviglia.

La storia degli azulejos non si interrompe di certo qui; nei secoli successivi subiranno evoluzioni, acquisiranno significati differenti e, in alcuni periodi storici, il loro sfarzo verrà persino condannato. Ma se oggi ritroviamo azulejos sparsi dappertutto, dalla Sardegna al Marocco, dal Portogallo alla Spagna, dalle Canarie a Madeira, se un piccolo quadratino ha costituito il punto d’incontro di tante culture diverse, se una mattonella tutta mediterranea è arrivata ad essere il simbolo di un paese atlantico, è perché condividiamo tutti lo stesso blu del mare e lo stesso bianco della sua spuma.

(Articolo di Gloria Torelli)